L’Europa punta sull’idrogeno verde per abbandonare i combustibili fossili e l’Abruzzo vota sì alla centrale Snam

SULMONA – L’Unione europea impone il passaggio all’idrogeno per la necessaria transazione ecologica, che giocherà la sua partita più importante sull’approvvigionamento energetico.

L’Abruzzo, invece, vira verso i combustibili fossili con il sì alla centrale della Snam, dopo proclami e battaglie di facciata della Regione che ha votato per il via libera all’impianto e la provincia che non si è presentata e che con la sua assenza ha contribuito ad un altro voto favorevole.

A dare manforte alla svolta green dell’Europa ci sono anche i consumi di gas che scendono, anche se la Snam insiste sulla necessità di costruire la centrale di Case Pente e il metanodotto Sulmona Foligno. Perché? I motivi del fronte del no al progetto sono contenuti nello “Snam affair”. Un dossier di ben 53 pagine a cura del Coordinamento no hub del gas, che smonta le teorie alla base della necessità di nuovi impianti, partendo dagli stessi assunti e dati della società italiana di metano. Nel 2005 si registra il massimo storico dei consumi con 86,2 miliardi di metri cubi di gas. Poi i valori scendono, con una rete che nel frattempo si è amplia e arriva a 13 centrali. Oggi si consumano 74 miliardi di metri cubi annui (dato 2019) e Snam prevede una riduzione al 2030 a 68 miliardi, che il governo abbassa a 59 (il 32% in meno rispetto al picco del 2005 e il 20% in meno sui consumi del 2019). Dunque perché costruire nuovi impianti?

“Per gli incassi milionari che arriveranno dalle bollette degli italiani, dove saranno caricati tutti i costi delle nuove infrastrutture – sostengono da sempre gli attivisti del no – A ciò si aggiunga la delibera 119 del 2019 di Arera, l’Autorità di regolazione energia reti e ambiente, che riconosce una remunerazione del capitale investito del 5,7%, più un altro 1,5% in caso di opere strategiche e il 5,3% per il riconoscimento delle spese”.

Del resto, la rivoluzione verde e la transizione ecologica pensate dal governo Draghi prevedono investimenti per 59,33 miliardi di euro. Di questi 23,78 miliardi saranno destinati all’incremento della filiera delle energie rinnovabili in agricoltura, alla promozione di impianti innovativi (anche offshore), al trasporto locale sostenibile, alla dotazione di accumulatori per stoccare l’energia in eccesso, e alla rete intelligente per gestire i flussi energetici. Dentro c’è anche la partita «idrogeno» che assorbe 3,19 miliardi. Nello specifico: 2 miliardi per la riconversione delle imprese energivore (acciaierie, cementifici, etc), 160 milioni per la ricerca, 500 per la produzione di idrogeno in aree industriali, 530 per la sperimentazione nel trasporto stradale e o ferroviario. Poi ci sono altri 450 milioni a parte che andranno a finanziare lo sviluppo tecnologico nelle filiere di transizione verso l’idrogeno.

In particolare, l’idrogeno verde dovrebbe essere uno dei pilastri per un futuro decarbonizzato: può essere bruciato come il metano (producendo però ossidi di azoto) oppure convertito in energia elettrica con le celle a combustibile, ove si produce solo vapore acqueo.

Per questo l’Unione Europea ha deciso di puntarci per arrivare a emissioni di carbonio zero nel 2050, e l’8 luglio 2020 ha definito una strategia operativa: la produzione di idrogeno verde dovrà passare in 30 anni dal 2% al 14%. Le tappe sono tre: 1) entro il 2024 l’installazione di 6 gigawatt di elettrolizzatori per produrre 1 milione di tonnellate di idrogeno verde; 2) entro il 2030 almeno 40 gigawatt di elettrolizzatori e 10 milioni di tonnellate; 3) entro il 2050 un quarto di energia rinnovabile generata servirà a produrre idrogeno verde da utilizzare su larga scala.
E l’iter autorizzativo della centrale Snam di case Pente, nei pressi del cimitero di Sulmona, risale ormai ad “un’era precedente”.
Tutto parte nel 2004, quando dopo l’ottenimento di un primo requisito di pubblica utilità nel 2004 (poi decaduto per decorrenza dei termini), il procedimento è andato avanti a grandi passi. Fino all’avvio della fase istruttoria del 5 agosto del 2010, con relative modifiche al tracciato, e al via libera, seppur con alcune riserve, del sette ottobre 2011 della Commissione nazionale di valutazione di impatto ambientale.
Fino al decreto ministeriale del 7 marzo dello stesso anno, con cui i ministeri dell’ambiente dei beni culturali hanno dato il via libera a centrale e metanodotto. Fino, poi, al via libera definitivo alla centrale da parte del governo Gentiloni a Camere sciolte a fine 2018.

 

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