Ipovedente in attesa dello Smart working da Covid: la lettera appello di un lavoratore del carcere

SULMONA – Ha fatto richiesta di smart working da quasi un mese, ma non gli viene ancora accordata.
Ha dell’assurdo la situazione di Dimitri Bernardi, centralinista ipovedente del supercarcere di Sulmona. Il giovane aveva già portato a conoscenza dell’opinione pubblica la sua condizione nei mesi scorsi, quando la soppressione di alcune corse di autobus (poi ripristinate) tra la stazione e la casa di pena rendevano ancor più problematico il suo tragitto. Ora il rischio di chiama Coronavirus che per una persone non vedente che arriva in treno dall’Aquila diventa un problema molto serio. Per ora il ragazzo è in aspettativa non retribuita.

Ecco la sua lettera appello.
“Salve, sono Dimitri Bernardi, un ragazzo affetto da retinite pigmentosa quella malattia degenerativa che mi sta portando alla completa cecità. Dopo moltissime vicissitudini sono riuscito a far valere un mio diritto, (non scontato in questi tempi): essere assunto per la mansione che mi spetta e cioè quello di centralinista. Purtroppo, come tutte le cose belle che solo nelle favole finiscono a buon fine, sono iniziate presto le prime difficoltà. La distanza mal collegata per raggiungere il posto di lavoro e la mancanza di un posto operatore che mi permettesse di essere subito operativo hanno da subito trasformato quello che doveva essere un sogno tradotto in realtà in un incubo. Tutti i giorni ero costretto a macinare chilometri e chilometri in treno in un percorso irto di difficoltà. Un bel giorno credetti di aver trovato uno spiraglio in fondo al tunnel quando venni a conoscenza di un posto vacante presso il tribunale dell’Aquila. La luce intravista però è stata quella di un cerino che si è spento ancor prima di guidarmi. Al tribunale che dista solo poche centinaia di metri da casa mia dovetti rinunciare per problemi burocratici che ancora non riesco a spiegarmi. Poco dopo si presentò una seconda possibilità di riavvicinamento, questa volta con una richiesta di comando. Credevo, anzi speravo, che un qualcosa di bello finalmente la mia dolce Italia potesse avermi portato in dono. Immerso nei miei pensieri ho cominciato a sognare. Tuttavia con tristezza ed incredulità dovetti purtroppo tornare con i piedi per terra giacché per questioni interne al Ministero di appartenenza questa procedura non poteva essere espletata. Come spesso accade nella mia vita arriva la classica ciliegina sulla torta: Il coronavirus!! Questo terribile virus che ha messo in ginocchio il nostro tessuto sociale ed economico altro non ha fatto che far star male chi stava bene e far star peggio (come nel mio caso) chi stava male. Certo non posso che ringraziare Dio per avermi risparmiato sinora la vita. D’Altronde innumerevoli sono stati i desideri che il mio vissuto di ipovedente non mi ha permesso di riuscire finanche a coltivarli figuriamoci raccoglierne i frutti. Tendenzialmente sono una persona che si accontenta di poco. Di fatti sono pochi i traguardi ai quali potrei ambire e vorrei tanto che questo Stato, che molti nel mondo ci invidiano, mi mettesse nelle condizioni di poterli trasformare in realtà. Ho tanta voglia di essere “normale”. Fare il mio lavoro, rendermi utile per me e la mia società. Quella società che da sola, attraverso gli amici che fortunatamente non mi ha fatto mancare, che avendomi aiutata a sopportare il peso del destino dal quale dipendo, merita di essere ricambiata. Purtroppo, ora più che mai, mi ritrovo a dover stare a casa privato di questa possibilità. Certo la situazione è difficile per tutti ma al servizio della stessa io, seppur nelle mie quotidiane difficoltà, mi ci voglio mettere lo stesso. Ho chiesto, anche se finora nessuna risposta mi è stata data, di poter lavorare in smart working proprio da quella casa nella quale seppur prigioniero fisicamente ma con l’affetto continuo di mia moglie e mia figlia, mi sta aiutando a prevenire il contatto con un virus che è invisibile ai vedenti figuriamoci a chi come me che della vista porta solo un lontano ricordo. Svolgere il mio lavoro in un ambiente sicuro ma allo stesso tempo produttivo, sono convinto, mi permetterebbe di sentirmi realizzato. Ringrazio chi ha permesso di utilizzare questa innovativa forma di lavoro agevolato a molti dei miei. Spero che anche io, presto, venga messo nelle condizioni di poterlo fare. E’ un’occasione quello dello Smart Working che chiunque vive la mia drammatica situazione potrebbe sperimentarla e magari trasformarla in una definitiva impostazione futura. Del resto non è una procedura impossibile da realizzare soprattutto con la tecnologia di oggi che, mai come in questo caso, può venire in aiuto a chi come me il mondo esteriore, al netto dei pericoli che quotidianamente offre, può soltanto immaginarlo”.

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